skip to Main Content

Insufficienze d’organo: al Simposio Ri.MED si discutono le nuove opportunità offerte dalle terapie cellulari e dall’ingegneria dei tessuti per i pazienti trapiantati o in attesa di trapianto

24 Ottobre 2019

COMUNICATO STAMPA

Palermo, 25 Ottobre 2019 – La medicina personalizzata è più che mai vicina ai pazienti afflitti da insufficienze d’organo: il contesto di riferimento è quello dei pazienti trapiantati – che attualmente sono costretti a sottostare a vita a terapie farmacologiche immunosoppressive per evitare eventuali rigetti – e quello dei tantissimi in attesa di organi (quest’anno oltre 14.000 in Europa, secondo i dati forniti dalla Eurotransplant International Foundation), per i quali l’alternativa al trapianto – rigenerazione, ingegnerizzazione delle cellule, biofabbricazione e stampa in 3D – rappresenterebbe la fine di un incubo.

Questo l’argomento del 13° Simposio Scientifico Ri.MED, “Organ Insufficiency: change it or fix it“, che si svolge oggi a Palazzo Steri e che ha riunito a Palermo i massimi esperti del settore a livello mondiale. Il primo argomento affrontato è quello della sopravvivenza a lungo termine dell’organo trapiantato: “Non possiamo semplicemente continuare ad aumentare l’immunosoppressione per prevenire il rigetto del trapianto – afferma Fadi Lakkis, membro del Comitato scientifico Ri.MED e Direttore scientifico dell’Istituto Trapianti “Starzl” della University of Pittsburgh School of Medicine – perché i farmaci immunosoppressori possono avere effetti indesiderati importanti sul paziente. Dobbiamo piuttosto trovare modi nuovi e sicuri per prolungare la vita di un organo trapiantato”. E la ricerca va proprio nella direzione di individuare strategie alternative: dalla perfusione meccanica dell’organo all’uso delle cellule del sistema immunitario, alle terapie cellulari in fase di sperimentazione che aprono grandi speranze.

“La medicina rigenerativa sta facendo passi da gigante, le nuove ricerche e l’applicazione alla clinica oggi avanzano su tre fronti – spiega Riccardo Gottardi, Principal Investigator Ri.MED e Direttore del Bioengineering and Biomaterials Laboratory del Children’s Hospital of Philadelphia: “Il primo approccio è sfruttare il ruolo del sistema immunitario nel favorire la rigenerazione dei tessuti, il secondo è la stampa 3D di organi e tessuti che negli ultimi 5 anni ha rivoluzionato la ricerca, il terzo è la creazione di modelli in vitro che riproducano perfettamente la fisiologia umana per mettere a punto farmaci sempre più efficaci e precisi”.

“La missione di Ri.MED è tradurre la ricerca biotecnologica e biomedica in nuove cure per i pazienti, con progetti di ricerca traslazionale focalizzati su patologie dell’invecchiamento, insufficienze d’organo e cancro – spiega Alessandro Padova, Direttore Generale della Fondazione – studi che trovano forte impulso nell’integrazione diretta con l’IRCCS-ISMETT e nella partnership strategica con Pittsburgh. Il Simposio annuale ci permette di portare in Sicilia la ricerca ai massimi livelli, coerentemente con le nostre priorità di divulgazione scientifica, formazione di nuove generazioni di ricercatori e sviluppo di un indotto socioeconomico positivo nel Sud Italia.

ALLEGATI

INTERVISTA A RICCARDO GOTTARDI
Principal Investigator Ri.MED
Bioengineering and Biomaterials Lab, Children’s Hospital of Philadelphia

Dottor Gottardi, l’ingegneria tissutale e la medicina rigenerativa hanno fatto molti passi avanti, ci può spiegare quali sono le nuove frontiere di queste ricerche? Oggi si sta procedendo su tre fronti. Il primo è quello che riguarda l’immunità. Si è scoperto infatti che il nostro sistema immunitario ha un ruolo molto più importante di quello che si pensasse fino a poco tempo fa nello sviluppo dei tessuti ingegnerizzati e nella loro integrazione nell’organismo e questo si può sfruttare per favorire la rigenerazione tissutale.
Il secondo fronte è quello della stampa 3D, una tecnologia che permette di replicare in tempi brevi e in maniera fedele la struttura dei tessuti. Oggi non siamo ancora in grado di stampare un organo per impiantarlo, tuttavia negli ultimi 5 anni sono stati fatti molti progressi, ad esempio sui grandi tessuti vascolarizzati che sono strutture estremamente complesse. Il terzo fronte prevede l’utilizzazione dell’ingegneria dei tessuti per creare modelli di tessuti per lo sviluppo di farmaci. E’ quello che si chiama Organ on Chip. Si tratta di ricreare in vitro un sistema che replica la fisiologia umana in modo da predire con maggiore precisione gli effetti dei farmaci sull’essere umano. In una fase più avanzata si può pensare a un modello specifico per gruppi di persone con caratteristiche simili o per ogni singolo individuo, nella direzione della medicina personalizzata.

Quali di queste ricerche sono più vicine all’applicazione medica? Sono tutte in fase di applicazione. Già si lavora per modulare il sistema immunitario quando si impiantano tessuti ingegnerizzati nella persona. Per quanto riguarda la stampa 3d, siamo così vicini ai trial clinici che due anni e mezzo fa l’Agenzia per i farmaci degli USA ha stabilito nuove regole per l’uso di questa tecnologia per l’ingegneria dei tessuti. Organ on Chip è un progetto già attivo e ci sono già partenariati con grandi aziende per sviluppare nuovi farmaci utilizzando questo modello.

Quali sono altri vantaggi dello sviluppo di questi sistemi in vitroUn altro grande contributo è quello al progresso delle conoscenze in biologia. Pensiamo di sapere come è fatto il corpo umano, ma non è così, ci sono moltissime questioni irrisolte che diventano evidenti solo quando cerchiamo di replicare la nostra fisiologia. E’ un po’ la stessa cosa che sta succedendo con le neuroscienze: molte cose del cervello le abbiamo imparate grazie all’intelligenza artificiale.

Lei a cosa sta lavorando in questo momento? Ad un modello in vitro dell’articolazione umana per lo studio di patologie come l’artrosi. È un modello su cui ho iniziato a lavorare a Pittsburgh come Principal Investigator della Fondazione Ri.MED e che oggi sto continuando a sviluppare al Children’s Hospital of Philadelphia, sempre in collaborazione con Ri.MED. Speriamo così di predire lo sviluppo della malattia e capire come limitare i danni.

Qual è il ruolo delle terapie cellulari? Le terapie cellulari hanno grandissima potenzialità perché permettono di correggere un difetto a livello cellulare. La loro particolarità è che rispondono al sistema: quando le altre cellule si modificano, loro si adattano, sono reattive. In sostanza, è come se la mia macchina avesse dentro di sé un meccanico che appena si verifica un danno reagisce riparandolo immediatamente.


INTERVISTA A FADI LAKKIS
Membro del comitato scientifico Ri.MED
Direttore scientifico allo Starzl Transplantation Institute dell’Università di Pittsburgh

Professor Lakkis, quali sono le principali questioni aperte oggi nella gestione dei pazienti trapiantati? Una dei nodi principali è come estendere in modo sicuro la sopravvivenza a lungo termine degli organi trapiantati. La metà degli organi trapiantati ha una durata inferiore a 10-12 anni e questo non è cambiato negli ultimi trent’anni. Non possiamo semplicemente continuare ad aumentare l’immunosoppressione per prevenire il rigetto del trapianto perché i farmaci immunosoppressori possono avere effetti indesiderati importanti per il ricevente. Dobbiamo trovare modi nuovi e sicuri per prolungare la vita di un organo trapiantato.

Quali sono gli avanzamenti più importanti nelle strategie per migliorare la sopravvivenza di tessuti e organi? Ci sono stati recenti progressi nella conservazione (ad esempio, la perfusione meccanica degli organi prelevati) per ridurre il numero di organi che vengono scartati. Queste strategie promettono di migliorare la sopravvivenza mantenendo gli organi prelevati in uno stato più sano fino al momento del trapianto. Nel trapianto di midollo osseo ci sono stati progressi nella separazione dei linfociti T: le tecniche di infusione utilizzate oggi permettono di ridurre sensibilmente il rischio di sviluppare la “malattia del trapianto contro l’ospite” (Graft versus Host Disease), in modo che i pazienti possano potenzialmente vivere più a lungo.

In che direzione si sta muovendo la ricerca per affrontare il problema degli effetti avversi dell’immunosoppressione? La direzione è quella di utilizzare le terapie cellulari al momento del trapianto, per ridurre la quantità di immunosoppressione data al paziente. Alcuni approcci vanno più alla radice del problema, ad esempio, trapiantando il midollo osseo dello stesso donatore dell’organo, in modo che l’immunosoppressione non sia affatto necessaria. Altre procedure sono meno radicali, ad esempio, l’uso di cellule immunitarie regolatorie che possono essere infuse al momento del trapianto per impedire al sistema immunitario del paziente di reagire in modo eccessivo all’innesto, consentendo così di utilizzare una minore immunosoppressione. Questo protocollo è attualmente condiviso e studiato a Pittsburgh e a Palermo, grazie alla ricercatrice Ri.MED Ester Badami e ai medici di ISMETT.

Come è cambiato questo settore della medicina con l’avanzamento delle nostre conoscenze sulle cellule staminali? La ricerca in questo settore è avanzata in particolare per quanto riguarda la medicina rigenerativa. Le cellule staminali possono ora essere utilizzate per far crescere organi in laboratorio, anche se ancora ci sono diversi ostacoli da superare. Ad esempio, i vasi sanguigni nell’organo cresciuto in laboratorio non sono normali e causano un’eccessiva coagulazione del sangue che interrompe il flusso sanguigno verso l’organo stesso. C’è bisogno di altra ricerca.

Cosa vi aspettate dall’uso delle terapie cellulari? E cosa permettono già di fare? Ci aspettiamo che ci consentano di utilizzare meno o addirittura nessun farmaco immunosoppressore. Possiamo immaginare queste terapie come proiettili magici che prendono di mira solo la risposta immunitaria contro l’organo ma lasciano intatto il resto del sistema immunitario, necessario per combattere le infezioni e il cancro. Le terapie cellulari nel trapianto sono ancora in fase sperimentale nell’uomo. Alcuni dei primi studi sono promettenti nel senso che hanno dimostrato di essere sicure, ma l’efficacia resta da determinare.


UNA RICERCA SICILIANA: CELLULE DA DONATORE AL POSTO DEI FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI
Ester Badami, ricercatrice palermitana di Ri.MED, collabora con Pittsburgh e ISMETT per il trasferimento di nuovo protocollo di terapia immunosoppressiva post-trapianto

La sfida nel settore del Life Science si gioca sempre più sulla capacità di tradurre velocemente i risultati della ricerca scientifica in applicazioni cliniche; la Fondazione Ri.MED, grazie alla partnership strategica con l’Università di Pittsburgh e UPMC e all’integrazione con il partner ospedaliero IRCCS ISMETT è in grado di sviluppare progettualità “from bench to bedside”. Ci sono numerosi esempi di successo scaturiti dalla collaborazione tra Pittsburgh/Ri.MED/ISMETT (dallo sviluppo di valvole cardiache che non richiedano anticoagulanti e che non calcifichino, all’identificazione di un vaccino contro le infezioni da Klebsiella pneumoniae), ma la collaborazione di cui vogliamo parlare oggi, in occasione del Simposio scientifico Ri.MED sull’insufficienze d’organo, riguarda il trasferimento da Pittsburgh a Palermo di un nuovo protocollo mirato a ridurre i tempi di somministrazione di terapia immunosoppressiva post-trapianto ed ha come protagonista Ester Badami, classe 1978, brillante ricercatrice palermitana, dal 2015 Senior Scientist in Immunology della Fondazione Ri.MED; in virtù del collegamento al network di Pittsburgh, ha recentemente avviato una collaborazione con il prof. Thomson, Direttore di Immunologia dei trapianti al “Thomas E. Starzl” Transplantation Institute dell’University of Pittsburgh School of Medicine e con il Prof. Fadi Lakkis, direttore scientifico dello stesso istituto, nonché membro del comitato scientifico Ri.MED.

Il contesto di riferimento è quello dei pazienti che subiscono trapianti di organi solidi e che attualmente sono costretti a sottostare per tutta la vita ad una terapia farmacologica immunosoppressiva, per evitare eventuali rigetti. La necessità di assumere farmaci immunosoppressivi vita natural durante, comporta però forti effetti collaterali, tra cui insufficienza renale e cardiopatie. Il protocollo proposto dal Prof. Thomson intende superare questo limite, sostituendo la terapia immunosoppressiva con un trattamento una tantum da effettuare contestualmente al trapianto di organo. Tale protocollo viene attualmente applicato in via sperimentale nei casi di trapianto di fegato da donatore vivente: nel caso ad esempio di una madre donatrice per il proprio bimbo, le cellule materne vengono prima manipolate e rese tollerogeniche e poi somministrate al figlio prima del trapianto in unica soluzione. La ricerca a livello preclinico condotta nei laboratori di Pittsburgh ha dimostrato che questo trattamento one shot può efficientemente sostituire la terapia immunosoppressiva a lungo termine. Thomson ha dunque avviato a Pittsburgh i primi trial clinici – arruolando un paziente al mese – per il trattamento con infusione di cellule dendritiche dei pazienti che hanno subito un trapianto di fegato da donatore vivente.

Lo studio della Dott.ssa Badami si è basato sui dati preliminari relativi all’analisi del perfusato epatico raccolto nelle ore precedenti al trapianto per 15 pazienti di ISMETT. I dati hanno confermato la presenza di cellule utilizzabili per il “Protocollo Thomson” e quindi la fattibilità della procedura. La collaborazione congiunta tra Pittsburgh e Palermo significa che i dati sperimentali acquisiti nei due centri possono essere confrontati e studiati, aumentando la numerosità del gruppo di studio e conferendo al progetto un carattere multicentrico.  Inoltre la sperimentazione può allargare il raggio di studio a procedure differenti: il setting proposto a Pittsburgh prevede la somministrazione prima del trapianto, in unica soluzione, delle cellule tollerogeniche ricavate da donatore vivente, mentre a Palermo si lavora anche sull’isolamento di cellule dal donatore cadavere, che a seguito dell’opportuna manipolazione, potrebbero essere infuse nel corso di sessioni post-trapianto,  rendendo gradualmente superflua l’attuale terapia immunosoppressiva. Questo approccio presenta l’ulteriore vantaggio di poter contare sul notevole aumento del numero di pazienti trattabili, poiché com’è noto, la maggior parte dei trapianti di fegato occorre da donatore cadavere piuttosto che da donatore vivente.

Back To Top